Con l’Ordinanza n. 2350 in data 24 gennaio 2024, la Suprema Corte si è pronunciata in tema responsabilità dell’organo sindacale, soffermandosi in particolare sulla ripartizione tra le parti dell’onere di allegazione e di prova dei fatti costitutivi di tale forma di responsabilità per il caso di omissioni rilevanti ai sensi degli artt. 2403, 2403 bis, 2404 2406, 2407 e 2409 c.c..
La Corte ha dapprima osservato come sia in radice da escludersi la censurabilità delle omissioni del collegio sindacale di fronte alle condotte irregolari dell’organo amministrativo ogni volta che queste consistano in mere scelte gestionali. E ciò in quanto il merito e la convenienza di tali scelte sfuggono al controllo dei sindaci – così come al sindacato dell’Autorità Giudiziaria – in virtù del noto principio della c.d. business judgement rule, con la conseguenza che il dovere di vigilanza dell’organo sindacale risulta limitato alla sola legittimità degli atti gestori nonchè alla correttezza dei procedimenti decisionali di volta in volta seguiti.
Si legge poi nell’ordinanza in commento che nell’ambito delle controversie inerenti al pagamento dei compensi maturati dai sindaci in pendenza della carica – come quella oggetto della pronuncia -, la società può legittimamente sollevare l’eccezione di inadempimento secondo i canoni diretti a fare valere la responsabilità contrattuale.
Da tanto discende che sia posto in capo alla società l’onere di mera allegazione della circostanza dell’inadempimento del professionista, nel caso di specie rilevante ai sensi degli artt. 2403, 2403 bis, 2404 2406, 2407 e 2409 c.c., restando a carico di quest’ultimo la prova liberatoria dell’esatto adempimento della propria prestazione, e cioè dell’avere agito conformemente al modello professionale e deontologico in concreto richiesto dalla situazione su cui è intervenuto con la propria opera.
In relazione a quest’ultimo aspetto, la Corte non ha mancato di evidenziare che l’adempimento ai propri doveri non si esaurisce per il collegio sindacale a seguito del mero compimento delle attività prescritte dalla legge, essendo questo tenuto altresì all’adozione di ogni altro atto che, a seconda delle circostanze, possa risultare utile e/o necessario per assicurare una vigilanza effettiva ed efficace sull’operato degli amministratori e, più in generale, sul regolare svolgimento dell’intera gestione sociale.
In conclusione, dunque, la parte che intenda fare valere in giudizio la responsabilità del sindaco può limitarsi ad allegarne l’inerzia, integrante di per sé inadempimento, restando a carico di questi fornire la prova in ordine all’avere esattamente reso la propria prestazione, e cioè offrendo l’evidenza di avere “esercitato (o, quanto meno, tentato, con la dovuta diligenza professionale, di esercitare) l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge”.
Avv. Carlotta Varesio
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